Manfredo Palavicino o I Francesi e gli Sforzeschi | Page 2

Giuseppe Rovani
l'ingiustizia di quella.
Sovrattutto parve all'autore, dopo aver tentato i segreti della storia, riuscisse sovramodo interessante il gruppo di quei tre personaggi Palavicino, Ginevra Bentivoglio, Sforza, perchè in quel loro incontro, nello stesso luogo e nel medesimo tempo, in quella parità di giovinezza, in quell'associazione di vita e di comunanza d'interessi, (comechè breve e lontana sia l'opera dell'ultimo di essi), in quel forte legame d'amore, a non voler star paghi del nudo fatto e della semplice cifra, gli sembrò vedere qualche cosa più di un puro accidente, ma alcun che invece di altamente prestabilito, ma una mano, provvida e sapiente che avesse espressamente gettate nel mondo e aggruppate quelle tre creature, perchè nel mentre avevano a soffrire per le colpe dei loro padri e della loro classe, ne fossero in una volta l'espiazione e la riparazione potente.
In questi tempi, in cui la fantasia stranamente prodiga di taluno de' nostri vicini d'oltremonte è usa imbandire così laute e forse indigeste mense alla folla incontentabile, ed a stordire il lettore nella sua noja più forse che ad appagarlo nelle sue pretese, lo trascina, quasi potrebbe dirsi, a coda di cavallo, sul popolato campo della vita attuale. In questi tempi che i labbri, viziati dagli spiritosi e forti liquori, facilmente fastidiscono ogni altra bevanda che loro sia porta, è ardua cosa assai il gettare alle moltitudini un libro qualunque esso sia.
Però l'autore non può dissimulare l'insolito timore dal quale è preso nel pubblicare il presente.
Di sè, dell'opera propria ha sempre dubitato e dubita tuttavia, con sensibile stringimento dei precordi, non tanto però quanto dell'inesorabile pubblico. Di questo pubblico sazio dall'abuso, indifferente, svogliato, e per nulla disposto a sperar bene di un lavoro che sia fatto da italiano, stampato in Italia, trattante italiane cose, e che lasciando il presente, benchè senza mai dimenticarlo, risalga al passato.
Ad ogni modo il libro è questo. L'autore vi si è applicato con amore, che nel corso dell'opera talvolta fu più, talvolta fu meno, talvolta eccessivo, talvolta anche nullo; ne ha concepita inoltre qualche speranza che comparve, disparve e ricomparve coll'assidua intermittenza delle febbri terzane. Ora quel che ne attenda, non saprebbe dir con certezza. Il lettore ci provveda, provvedeteci voi, amabili leggitrici, e perciò vogliate ascoltare una parola ancora.
Se talvolta facendo la via per certe aride steppe, l'ambio della cavalcatura fia per esser lento qualche poco, procurate rintuzzare il soporifero della noja, rintuzzarlo confortandovi nel pensiero che verrà il tempo delle corse affannate, delle aspettazioni ansiose, delle scosse non attese, dei forti affetti, e degli angori, più dell'acre cipolla, formidabile ai vasi lacrimali; e che forse anche dopo caduto il libro dalle mani vostre, le oscillazioni vorranno continuare per qualche poco ancora.--L'autore lo spera--Sperate anche voi.

PERIODO PRIMO
CAPITOLO PRIMO
Quel canto della contrada delle Ore, ove alzando un tratto lo sguardo, si ha il vantaggio, di vedere un lato della chiesa di s. Gottardo e la torre del suo famoso orologio, che è sempre un buon pezzo d'architettura, non fu mai, a nessun'epoca, oggetto di molta attenzione; ed è in questa parte, dove la massima noja viene oggidì ad assalire il granatiere del corpo che vi passeggia a guardia; soltanto trecentoventinove anni or fanno[*], il giorno de' santi Cornelio e Cipriano, che cadeva allora al tredici settembre, la parte di popolazione che poteva reggersi sulle gambe, passò quasi tutta per di là, a gettare un'occhiata ben attenta a quell'angolo che in quel dì ebbe un successo, quale non ebbe a vantar mai nè prima nè dopo. A quel canto si vedeva bensì un'immagine di Maria Vergine, che ora non c'è più, dipinta piuttosto male da uno scolaro di Luino per mezzo scudo del sole, con innanzi due torchietti sempre accesi e due vasi di fiori sempre freschi, alla cui conservazione e spesa tanto ordinarie che straordinarie sopratendeva il barbiere che vi avea bottega lì presso. Del resto non offrendo allora quel luogo nulla di diverso da quanto possa offrire oggidì, si poteva ragionevolmente maravigliarsi vedendovi una così gran moltitudine ferma ad osservare, non potevasi congetturar cosa. Ma nella notte prima, quando battevano le sei ore appunto all'orologio di San Gottardo, un gentiluomo, accompagnato da un suo famiglio, era stato colà assalito da quattro soldati con spadoni e pugnali; il gentiluomo n'era rimasto affatto affatto illeso; e i quattro assassini, inseguiti, agguantati, percossi, e strettamente legati dalle guardie svizzere dell'eccellentissimo duca, erano stati condotti in castello. Avvenimento che da tutti era qualificato per un vero miracolo, la cui spiegazione non poteva esser difficile, per essersi commesso l'attentato sotto gli occhi medesimi della Vergine Santissima.
[*] La prima edizione della presente storia fu pubblicata nel 1845.
La folla aveva cominciato fermarvisi, a che appena suonava la prima avemmaria in Duomo, e cambiata e rinnovata, è impossibile dir quante volte, vi stava stipata or tuttavia che i monsignori nella sagrestia orientale s'adattavano in fretta la cappamagna,
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