Lucifero | Page 3

Mario Rapisardi
fianchi La titanica rupe. Era nel monte Negra, profonda, solitaria, intatta Da umane orme e dagli astri una spelonca Di bronchi irta e di sassi. Orrido intorno Le fan murmure i venti, e tra' selvaggi Fianchi, qual di commosse ali e di strida, Cupamente rintrona. Irati al verno Vi piomban da l'opposta erta i torrenti Scatenati dai ghiacci, e a balzi, a salti Mugulando spumeggiano; ma quando
Giungono al vallo de l'orrenda uscita, Perde l'onda il nativo impeto, e pigra, Torba, pollente s'impaluda, e manda Pestiferi m?asmi a chi la spira. Quivi, al fin del suo dir, contenne i passi L'umanato Demonio, e con feroce Piglio di scherno a contemplar si stava L'orrido sito e il ciel. Da le profonde Viscere allor del cieco antro una voce Querula, lunga, dolorosa emerse Come suon di sospir. Porse l'orecchio, E s'appress�� l'Eroe, quanto il permise L'angusto varco e la stagnante gora, Ed ascolt��: --Di che perigli in cerca, Misero! vai? Che stolta opra e che vano Talento �� il tuo di proseguir l'impresa, Ch'io gi�� per tempo incominciai, spregiando La tutta ira del ciel? Stolto! che tardi Son fatto accorto, e di Prometeo il nome Mal mi dieron le genti! E che non feci, Che non diss'io per questa al pianto nata Cara stirpe de l'uom? Cieca ed ignuda Giacea nel lezzo de l'error, s�� come Belva cibando la caonia ghianda, E altra legge nel mondo, altro governo Non sapea che l'istinto: ad altri ignota E a s�� stessa giacea, scherno e vergogna De le cose create, e le create Cose, ignara di tutto, iva mescendo Con fallace giudicio. Ahi! qual dei numi Qual mai n'ebbe piet��, se non ch'io solo Io sol pi�� che a me stesso? E non cotanto Mi punse il cor la fulminata fronte Dei fratelli Titani, e non di sdegno Arsi cos�� per l'usurpate sedi Del fuggiasco Saturno e pe' negletti Consigli miei, quanto d'affetto e d'ira Destommi in cor la tribolata sorte Degli umani infelici. Ardito e solo Contro a' Numi io mi stetti, e alzai la voce Contr'esso Giove, allor che ad uno ad uno Sprecava i doni al vegetale e al bruto, E a l'uom, misero tanto, altro conforto Non larg��a che il morir. Tutto ebbe allora L'uomo infelice il mio favor: sol io Gli svegliai l'intelletto; io di sapienti Arti e d'opre gentili e di gagliardi Ardimenti lo instrussi; io sotto al trono Gli aggiogai la Natura, e dio lo resi Non minor d'alcun altro. Ahi! qual mi venne Premio da ci��? Non che n'aver mercede, L'invida rabbia arsi di Giove, e degno Tenuto fui d'ogni pi�� cruda ammenda Quasi reo di delitto. Or quinci ai nembi, Come vedi, io mi fiacco, e a le voraci Cagne del ciel fatto son cibo, e scherno E favola del mondo. E n�� querela Movo di ci��; ch�� il querelar non giova A chi esente �� di morte; e inesorata L'ira �� dei Numi, e inesorato al pari L'orgoglio mio. Ma qual benigno frutto Colser giammai di mie fatiche tante, Del mio tanto soffrir le sconsolate Proli del mondo? Ahim��, che s��rte appena Da la tenebra antica, a l'infinita Luce del Ver schiusero gli occhi, e poco Poco a lor parve ogni pi�� grande acquisto; Tal che, tolte dal sonno, ai sogni in preda Diedersi tutte, e del saver la sete Arse in loro cos�� l'alma e la vita, Che a precoce vecchiezza e ad immatura Morte f?r sacre e a maledir condutte L'alto mio dono e il sagrificio mio!-- --Figlio di Temi, a lui rispose irato L'inclito Pellegrino, e che perigli Fantasticando vai? N�� vil fanciullo, Credi, io mi son, che si rivolta in fuga A la prima minaccia, o nauta imbelle, Che trema al pi�� leggier spirto di vento, E si chiude nel porto. In questa eterna Rupe confitto, in verit��, tu ignori Gli alti fati de l'uomo; e qual tu sei Carco di mal, di falsi mali agli altri Indovino ti fai! Lascia, deh! lascia Questi vani compianti, e oltre misura Non ti strugger di noi, se pur non t'hanno Tolto il senno davver le tue sciagure. Per�� sappi, e t'acqueta: opra gagliarda Tu cominciasti, ed io, se il ver discerno, La compir��. Non gi�� il saver, t'accerta, Reso l'uomo ha quaggi�� misero tanto, Ma la nemica a ogni saver, la cieca Credulit��. Di false ombre e d'inganni Essa vive nel mondo, e si fa gioco De l'umana ragion; ma quest'azzurro Cielo e quest'aure e questi monti io giuro, Ch'ella �� presso a morire, e arbitra in terra La ragion seder��; largo e securo Spiegher�� il vol su' mal temuti errori Il redento intelletto; e allor che tutto Ci�� che vuol, ci�� che pu�� senta e conosca, Questo ignaro di s�� dio de la terra Pago fia di s�� stesso, ed oltre il vero
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