oceano di fuoco, sopra cui qualche punta appariva, come estremo albero di nave sommersa. Insistentemente egli si rammentava il volto smorto di lei, quando ella si affacci�� al vagone fermato nella stazione di Monza e, malgrado ogni suo impeto di evocazione, pur volendo fermamente rivederla col suo delicato e profondo sorriso delle ore pi�� felici, egli continuava ad avere innanzi quella faccia pallida di donna morente. Egli cercava di rianimare tutti i suoi ricordi, di quei due giorni, come ella era vestita, la foggia della sua acconciatura, le parole che aveva dette, il tono della sua voce: ma una sola sensazione, acuta, squisita, gli ritornava, con la persistenza di un martello sull'incudine: il profumo che avevano i guanti morbidi di Grazia e le mani sottili profumate. Quando le scriveva di quei giorni, confusamente, egli ritornava sempre a dire di quella faccia pallida allo sportello e di quelle mani odorose, di quei guanti cos�� profumati "...che �� quel profumo, dimmi, dimmi, amore, perch�� io l'ho confitto nell'anima e ogni tanto mi fa piangere, come un fanciullo, perche il mio amore �� lontano e io non posso avere, sotto le mie labbra, le sue mani inebrianti?..." Ed ella nella fiorita campagna sorrentina, quando i villeggianti vicini, o i suoi ospiti, ritirandosi, l'avevano lasciata sola, libera, ella voleva far riapparire fantasticamente quei due indimenticabili giorni di oasi; ma armandosi con la stessa forza, con la stessa intensit��, lo stesso inesplicabile fenomeno psicologico avveniva in lei ed ella non poteva che ricordare qualche scintilla della grande fiamma. Fra un turbine roteante d'impressioni, rammentava soltanto, Grazia, un sorriso enigmatico alla sua domanda: e tu, perch�� mi ami? S��, egli aveva avuto un sorriso bizzarro, lungo, pieno di un segreto profondo: ella rivedeva sempre innanzi agli occhi quel sorriso acuto, crudele, che parea le nascondesse la verit��, tormentosamente. E nelle orecchie, nel cervello di Grazia restava una sensazione fissa, continua, invincibile, il ricordo della sua voce, quando la chiamava sommessamente, teneramente, dolorosamente, come se chiedesse amore e soccorso, come se invocasse piet��: Grazia, Grazia, Grazia!...
Cos�� identica era la loro passione nel carattere, nella profondit��, nella misura che il grande sogno da realizzare nacque nelle loro fantasie esaltate, contemporaneamente, germogliando nello stesso pomeriggio autunnale, nella stessa ora di disperazione, mentre erano lontani lontani, per molte miglia. Ambedue furono colpiti dal medesimo, irresistibile desiderio, contro cui nulla pi�� poteva difenderli; ambedue arsero di tale desiderio come se fosse il pi�� alto, l'estremo delle loro anime. L'immenso avvenire innanzi, alle loro esistenze ancora giovani, li sgomentava con la sua solitudine arida, mentre essi portavano in cuore di che riempirlo per sempre, di una strabocchevole felicit��. Al punto in cui la grande fiamma che li ardeva era giunta in entrambi, era loro insopportabile vivere ancora, divisi, lontani, estranei: lo stesso cupo dolore li abbatteva. La paura del mondo, delle sue ciarle, delle sue calunnie veniva man mano scomparendo innanzi a questo bisogno di amore, di felicit�� che �� in fondo a tutti i temperamenti umani, pi�� freddi e pi�� silenziosi, e che nell'ora della passione parla di una voce che nulla fa tacere. Per chi si sacrificavano? In nome di quale principio, di quale idea, di quale persona? Su quale altare sconosciuto deporre l'olocausto della loro passione?
--Io non posso pi�� soffrire, la mia vita finisce--scriveva Grazia.
--Io non posso pi�� soffrire, il mio coraggio �� esausto--scriveva Ferrante.
In tale ardente impazienza, la loro sensibilit�� sentimentale raffinata dai sogni, dalle insonnie, dalle lettere incoerenti, si era fatta cos�� acuta, cos�� squisita, cos�� fremente alla minima impressione, che quanto li circondava era complice del loro abbandono. Quando donna Grazia passeggiava sotto gli ombrosi viali della sua villa di Sorrento e fra gli aranci odorosi le arrivava il canto sottile di qualche voce innamorata, un improvviso fiotto di lacrime la inteneriva: e coloro che l'accompagnavano, si meravigliavano. Quando ella vedeva, nella sera, dalla sua terrazza, levarsi la luna sul golfo napoletano e tutte le case intorno soffondersi di bianca luce molle, una collera le saliva alla gola, di non essere via, di non essere con lui, in quell'ora di dolcezza, una collera contro il tempo che fuggiva, contro gli ostacoli che si frapponevano al suo amore e contro s�� stessa che non sapeva vincere gli ostacoli. E a Roma, l'autunno �� apportatore di novi, profondi turbamenti alle anime gi�� turbate: quando Ferrante portava il suo vagabondaggio a Villa Borghese, dove ancora i viali pare che conservino la appassionata fantasima di Beatrice Cenci, ogni ombra femminile, snella, dal volto pallido e bruno dietro la veletta, lo facea trasalire; quando egli portava il suo vagabondaggio serotino a uno dei teatri, bastava che dietro alla nuca bionda di una donna, in un palchetto, si profilasse il volto di un uomo innamorato perch�� egli si sentisse, a un tratto, immerso in una disperazione inguaribile. Allora, lontani, divisi, si tendevano
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