afferrata
con forti denti futuristi!
Ho come voi le guancie
bruciate dal simùn,
l'incedere elastico dei felini tra l'erbe,
e lo
sguardo che batte e respinge nell'ombra
le schiene viscose, furtive,
del poliziotto e dello scaccino! Voi schiudete con gioia le trappole
bieche
come noi le schiudiamo!
Rodano pure i sorci i nostri
manoscritti,
poi che questo volante motore
scrive nel cielo più alto
strofe d'oro e d'acciaio,
lucenti e definitive!
Ognuno dì voi sa fare
un'altera giustizia
intorno al suo grande Io dominatore e indomabile.
E la pesante macchina sociale vi fa schifo,
vi fa pietà la triste
meccanica delle leggi
col suo troppo esiguo rendimento dì giustizia!
Meccanica infantile, dalle ruote sommarie,
che bruscamente afferra
un tremulo pezzente,
lo stritola, lo schiaccia, lo spreme stupidamente
e poi dalla finestra lo getta
come una buccia fradicia,
in nome
d'un'invisibile maestà!
2.
I CONSIGLI DEL VULCANO.
Io vengo a te, Vulcano, e mi burlo
delle tue furibonde sghignazzate
da ventriloquo.
Credimi: io non sono in tua balìa!
Vorresti, lo so,
imprigionarmi
nelle tue reti di lava,
come fai con i giovani
sognatori ambiziosi
quando affrontano sui tuoi fianchi
l'orribile
tristezza dell'enorme tramonto
che si sganascia a ridere a crepapelle,
talvolta,
in un gran terremoto!
lo non temo nè i simboli, nè le
minacce dello spazio
che può a piacer suo seppellire le città
sotto
mucchi di rame o di oro o di grumi di sangue!
Io sono il futurista possente e invincibile
tratto in alto da un cuore
instancabile e folle.
È perciò che mi siedo alla tavola dell'Aurora,
per saziarmi alla sua mostra dì frutti multicolori.
Schiaccio i meriggi,
fumanti piramidi di bombe,
scavalco i tramonti, eserciti sanguinanti
in fuga,
e mi trascino dietro
i singhiozzanti crepuscoli nostalgici..
Etna! chi mai potrà danzare meglio dì me;
e dondolarsi sulla tua
bocca fiera
che mugghia a mille metri sotto i miei piedi?...
Ecco io
scendo e m'immergo nel tuo fiato solfidrico
tra i globi colossali dei
tuoi fumi rossigni,
e odo il pesante rimbombo echeggiante
del tuo
stomaco vasto che frana
sordamente come una capitale sotterranea.
Invano, la rabbia carbonosa della terra
vorrebbe respingermi in cielo!
Io tengo ben strette fra le dita le leve,
mentre urlo:
_Io._
O Vulcano!
smaschera la tua faccia dalle verruche di fosforo!
Metti
in moto i tuoi muscoli boccali,
apri le tue labbra rocciose incrostate di
graniti,
e gridami, gridami quale è il destino,
quali sono i doveri che
s'impongono alla mia razza!
Ridesta la spaventevole risonanza
dei
tuoi polmoni fuligginosi!
Io sono agile e forte, e so costringere i venti
a pigolare paurosamente sotto le mie ali,
come pulcini....
Ammira,
ammira le mie ali che sembrano immense,
annegate, laggiù, nelle
spirali corrucciate dei vapori celesti.
Vedo il mio stabilizzatore, dietro di me lontanissimo,
e il mio timone,
che s'insanguinano
alla conflagrazione riverberata delle tue viscere,
La mia tela vibra monotona come un tamburo
sotto la danza aerea dei
rosei tizzoni...
Bucato infernale in cui tutto si decompone!
Come un fumatore sbuffa il fumo d'un sigaro,
così con un soffio rude
tu allontani, o Vulcano,
il tuo bianco pennacchio imponente,
con
disinvoltura.
Il mio orizzonte è sbarrato da1 tutte le parti
dalla
contorsione enorme
delle tue mascelle scoppiate, goccianti di bragia!
Io sono in mezzo, nello squarcio sinistro
delle tue labbra più alte e
più grosse
che le montagne....
E scendo ancora, guardando intorno a
me
le tue mostruose gengive rigonfie....
Che è mai questa flora dì
molli fumacchi
che tu vorresti masticare
come grossi baffi azzurri?...
Ecco: già il rauco imbuto della tua gola
m'appare come un teatro
incendiato,
d'un'ampiezza incalcolabile,
dove furono invitati tutti i
popoli della terra,
che possono a piacer loro sedervisi comodamente.
Tutte le gradinate
brulicano di folla festante.
Vi si accalcano
gesticolando
più di un miliardo di fiamme
spettatrici entusiaste
che applaudono e gridano diversamente
un miliardo di spasimi erotici.
Sulla confusione rossastra spiccano a un tratto
con sparati violacei
delle esplosioni di gas
apoplettiche e panciute.
Più lontano, gialli
vapori isterici
sotto i loro improvvisi cappelli verdi
scoccano raggi
appassionati,
teneri, e subitamente beffardi.
Che è quella fiamma che si diverte e ride
tutta inguainata di velluto
lillà
e che sa così bene lanciare parabolicamente
il suo cappello
arancione, sôrto e svanito a un tratto,
verso lo spettacolo dogli
spettacoli, che comincia?
Nella platea del teatro, che può misurare
più di venti chilometri di diametro,
si spiega largamente
un
invitante mare di fuoco
qua o là increspato d'ombra e tinto
frescamente
di corallo e dì guancie infantili,
con dei lunghi sussulti
di grida bianche.
È dunque lo schiacciante fragore d'un'incudìne,
che va alzando più e
più la superficie irradiante
di questo mare di fuoco?
Fiumi, fiumane
e ruscelli splendenti accorrono a gara,
traboccanti di verghe d'oro,
per nutrirlo colando dai crepacci eloquenti
che s'aprono qua e là,
lungo le gradinate
fra l'ondeggiante mèsse
delle fiamme e dei gas
spettatori.
Fra la corpulenza delle rocce congestionate,
fiamme e
gas si dimenano in baldoria....
Tutto quello strano pubblico cremisi
è trascinato confusamente dallo slancio veemente
dei gesti che
applaudono,
verso la gola, verso il cuore, verso il centro
del cratere,
imbuto e circo ardente.
E quel mare di fuoco s'immobilizza e s'impietra.
A mucchi di grumi e
d'isolotti cuciti, fusi,
e per rapide alluvioni d'agate e di rubini,
forma
un continente vermiglio, abbagliante....
Tutt'intorno, sul mare di
bragia
galleggia una flottiglia
spiegando le sue vele che riflettono.
tutti i brillanti colori della lava.
Il continente si lastrica a poco a
poco di crisoliti,
ed ecco a un tratto spaccato il selciato
dalla
meravigliante caduta di 3000 leoni,
che piombano dal cielo, cateratta
d'odio,
cacciando fuori dalle loro nari d'officina
chiassose fontane
di
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