venuto a turbare la pace della sua casa; ma trascorso quasi un mese e colui non essendo ricomparso, Annetta tornò affatto tranquilla, tanto più perchè Maria aveva ripresi i suoi bei colori, l'allegria di prima.
Povera donna! Se ella avesse seguiti i passi della fanciulla, ogni qualvolta questa usciva alla mattina per alcune compere o per delle commissioni di clienti, l'avrebbe spesso veduta entrare furtiva in una modesta casa presso il Mercato delle erbe, salire all'ultimo piano dove il marchese Diego Tiani, sotto il nome del suo rivale Gabriele Terzi, stava ad attenderla.
La prima volta che Maria l'aveva incontrato, uscendo sola, credette venir meno dalla gioia; tuttavia quando egli le si accostò, apparve fredda, quasi indifferente. Ma presto il ghiaccio si ruppe: il giovane le aveva parlato dapprima timido, commosso, poi si abbandonò al linguaggio artificioso, fiorito, seducente di tutti i libertini che hanno designata una vittima, affascinando Maria, facendole battere il cuore a colpi precipitosi.
Coi più vivi colori, Diego le dipinse l'amore che l'aveva infiammato per lei, la gioia che avrebbe provato sentendosi corrisposto, l'avvenire pieno d'inebrianti speranze, di continua felicità che li attendeva.
E l'incauta cadde nel laccio.
Ella si recò agli appuntamenti nella casa designatele, in un quartierino ammobigliato, che Diego aveva preso in affitto per lei, dicendole essere costretto ad agire così, fino a quando avrebbe ottenuto da suo padre il consenso al suo matrimonio.
Maria non aveva alcun sospetto dell'inganno di cui stava per essere vittima. Credeva realmente che quel bellissimo giovane, il quale le giurava con tanto calore di farla sua moglie, si chiamasse Gabriele Terzi. Non prendeva informazioni: le sarebbe sembrato offenderlo: fidava in lui come in Dio: gli aveva offerta, donata la sua intera esistenza.
Eppure Maria non era in fondo così lieta come per il passato: se provava delle gioie vivissime, inebrianti, aveva altresì dei momenti di disperato rimorso. Ed era quando sua madre la stringeva al seno, la baciava, fissandola negli occhi, chiamandola la sua dolce, la sua pura creatura.
Sorrideva la misera fanciulla e per celare le sue angoscie, aveva impeti di allegrezza folle, che Annetta non comprendeva.
Intanto Diego, il Genio del male, andava diritto al suo infame scopo.
CAPITOLO QUINTO.
Tradimento.
Adriana si era levata ed avvolta ancora nell'accappatoio da notte, coi capelli disciolti, scarmigliati, passò nel suo spogliatoio e sedette dinanzi all'alto specchio, attendendo la cameriera che venisse a pettinarla.
La fanciulla era pallidissima e appena seduta rimase immobile, pensosa, con le candide mani abbandonate sulle ginocchia, come dimentica di quanto la circondava, assorta in un sogno di amore e di tristezza. Due figure si staccavano luminose dal fondo della sua meditazione: quella di Gabriele e quella del padre. Il primo le richiamava sulle labbra un angelico sorriso di speranza; l'altro le empiva gli occhi di lacrime amare.
Dall'ultimo colloquio che ella aveva avuto col conte, questi non le aveva più rivolta un'amabile parola, un sorriso affettuoso, una carezza. Si mostrava di una freddezza pungente, di una placidità irritante.
L'unica cosa che consolava alquanto la fanciulla, era di non dover più sopportare la presenza del marchese Diego: egli non si faceva più vedere da lei, pareva essersi allontanato dal palazzo.
Adriana si trovava già da alcuni minuti assorta nei suoi pensieri, allorchè si alzò pianamente una portiera e comparve il conte.
Egli si fermò un istante a contemplare la figlia, il cui languido atteggiamento, mostrava un abbandono, uno sconforto indicibile, poi la chiamò dolcemente a nome.
Adriana a quella voce balzò in piedi confusa, arrossita di essere sorpresa in quello smarrimento. Il suo cuore batteva con violenza.
--Papà,--mormorò.
--Giungo forse male a proposito, mia cara--disse il conte avvicinandosi--ma avevo da parlarti.
Sedette al posto lasciato dalla fanciulla, attirò questa sulle sue ginocchia.
Adriana era sbalordita: sperava e temeva al tempo stesso: quel cangiamento improvviso del padre la turbava, mentre abbandonavasi dolcemente nelle braccia di lui.
--Dammi ascolto, Adriana--disse il conte baciandola--io mi sono mostrato un po' troppo severo con te; ma ciò che tu forse attribuisti a poco affetto, era invece il desiderio di vederti felice. E non lo saresti cara figlia mia, se tu dessi ascolto ai sogni del tuo cervello, perchè l'uomo che la tua fantasia ti dipinge come il più nobile e leale dei cavalieri, ne è invece il più indegno.
Adriana alzò con impeto la testa, fissando gli occhi lucenti in quelli del padre.
--Parli di Gabriele?
--Sì...
--Se qualcuno ti ha parlato male di lui, è un infame calunniatore.
--Nessuno l'accusa, figlia mia: sono le sue azioni stesse che lo disonorano...
Adriana si sentì freddo al cuore.
--Che ha dunque fatto? Parla.
--Egli tiene una condotta indegna di un giovane onesto, che vuol sposare una fanciulla tua pari. Sebbene riprovassi il tuo amore per lui, feci tacere tutti i miei sogni, le mie speranze e mi diedi ad informarmi minutamente sul suo conto, a spiare tutti i suoi passi. Una voce interna mi diceva che Gabriele t'ingannava.
La fanciulla soffocò un grido.
--è una menzogna--disse, mentre il cuore le batteva con indicibile
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