La gran rivale | Page 2

Luigi Gualdo
essere
concessa quaggiù.
La loro storia, il loro romanzo se si vuole, era una prova di più che
molto spesso in questa vita le circostanze ne obbligano a seguire una
strada assai diversa da quella che si voleva percorrere. Si erano parlati
per la prima volta in una di quelle fiere di beneficenza, dove le signore
fanno salire ad una cifra arbitraria il prezzo degli oggetti più
insignificanti, a seconda del sorriso con cui li accompagnano. Alberto
aveva già veduto molte volte la bella signora O***, come tutti
chiamavano la nostra eroina, e l'aveva ammirata--tanto più ch'egli era
particolarmente attirato da quel genere di bellezza moderna il cui
fascino principale sta nell'espressione indefinibile; ma non la conosceva.
Quel giorno una signora che si trovava allo stesso banco lo presentò.
Non furono scambiate che poche frasi di circostanza, accompagnate
dall'inevitabile: «Spero che avrò il piacere di vederlo qualche volta»
che una signora dice sempre quando parla con qualcuno che conosce da
molto tempo di nome. Alberto vi andò pochi giorni dopo, ma,
dobbiamo dirlo col massimo dispiacere e chiedendone scusa alle lettrici
amanti dei colpi di fulmine nella passione, essi non si amarono il primo
giorno che si conobbero, e nemmeno il secondo, e nessuna scintilla
passò dallo sguardo di lui in quello di lei. I loro cuori non cozzarono
l'un contro l'altro come due proiettili e non ebbero sul principio
vicendevolmente che una di quelle frivole simpatie come se ne possono
avere per dieci persone a un tempo.
La famiglia di lei era assai ristretta finanziariamente, quasi povera.
Erano in molti e i danari pochi, dimodochè quando il signor O*** si
presentò e chiese la sua mano, la proposta fu accolta con l'entusiasmo
di una felicità «ch'era follia sperar». Quando ella era giunta ai sedici
anni e che le vesti corte si erano dovute allungare dello strascico,
all'affacciarsi di quel problema inquietante ch'è il matrimonio per le
fanciulle che hanno per sola dote la freschezza verginea della guancia,

la povera madre aveva sentito l'angoscia che tutte le madri in simili
circostanze provano, e sebbene quando quella fortuna inaspettata si
presentò, ella le dicesse: «Emilia, pensaci bene prima di accettare e fa
solo quello che il tuo cuore ti consiglia,» lo disse però con una paura
terribile di un rifiuto, e udendo la risposta affermativa della fanciulla le
gettò le braccia al collo con uno slancio irreprimibile di riconoscenza
materna.
O*** era un negoziante di seta, assai ricco, generoso, volgare. Giovane
ancora, benchè cominciasse ad impinguare un tantino, egli era stato il
sogno di moltissime fanciulle, e la sua scelta per l'Emilia, che «non
aveva un soldo,» fu causa di rabbioso stupore per tutte. Rideva di un
riso forte, spontaneo, inatteso; amava le donne, i cavalli e i romanzi di
Ponson du Terrail, del resto un buon diavolo nel significato più elastico
della parola, e capace perfino di una buona azione. Concesse a sè
medesimo il lusso di sposare una bella giovane senza dote, perchè ciò
era nei suoi mezzi; inoltre perchè Emilia gli piaceva assai ed era una
donna come la voleva lui, «senza pretesa.» Il corredo fu magnifico e
dopo sei mesi di matrimonio, Emilia era ancora «felicissima.» Un anno
però era appena trascorso, che già le cose cominciarono a mutare. O***
aveva una dopo l'altra riprese molte delle sue abitudini di scapolo; gli
affari lo occupavano nella giornata; prima di pranzo andava a fare un
giro a cavallo e dopo accompagnava sua moglie in teatro o in qualche
casa, ove la lasciava e non ritornava a casa che al mattino. Del resto,
sempre gentilissimo con lei, preveniva i suoi desiderii, non diceva una
parola per i conti piuttosto lunghi e era raramente di cattivo umore. Un
piccolo erede era apparso all'orizzonte.
Emilia lo aveva sposato perchè non sperava trovar meglio; ma capì in
brevissimo che non lo avrebbe mai amato. Pure soffriva alcun poco
nell'amor proprio vedendo quanto facilmente egli avesse riprese le sue
abitudini di prima.
Ella era un novello astro sorto nel mondo elegante (come dicono i
giornalisti), e non tardò molto ad attirare gli sguardi. Tutti aspirarono al
piacere di conoscerla, e in breve ebbe ogni giorno dopo le quattro la
visita d'un certo numero di uomini che tutti si credevano in obbligo di

farle la corte o di far credere che gliela facessero. Qualche signora
dell'altissima società si degnò di accordarle la sua amicizia; fu di tutte
le feste, di tutti i divertimenti. Cominciò per lei quella vita che
comincia per tutte le donne in simile posizione; fece parlare di sè in
modo vago senza però che nè le dicerie nè i pettegolezzi potessero
appoggiarsi su alcun che di sicuro, suscitò qua e là qualche passione,
eccitò molte rivalità che riuscirono dolci al suo orgoglio muliebre,
divenne di una certa abilità nella diplomazia femminile.
Quando ella
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