Il ritratto del diavolo
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Title: Il ritratto del diavolo
Author: Anton Giulio Barrili
Release Date: February 25, 2006 [EBook #17858]
Language: Italian
Character set encoding: ISO-8859-1
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RITRATTO DEL DIAVOLO ***
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BIBLIOTECA AMENA
AD UNA LIRA IL VOLUME
15 Ottobre 1905. --N. 691-- 15 Ottobre 1905.
ANTON GIULIO BARRILI
Il Ritratto del Diavolo
ROMANZO
MILANO--FRATELLI TREVES, EDITORI--MILANO Via Palermo,
12, e Galleria Vittorio Emanuele, 64 e 66
ROMA: Libreria Internazionale, Corso Umberto I, 174. NAPOLI: via
Roma (già Toledo), 34 TRIESTE: presso G. Schubart BOLOGNA:
presso la Libr. Treves, di L. Beltrami, Angolo Via Farini. LIPSIA,
BERLINO, VIENNA: presso F.A. Bruchhaus.
QUARTO MIGLIAIO
IL RITRATTO DEL DIAVOLO
I.
Lettori gentili, siete mai stati ad Arezzo? Se non ci siete mai stati, vi
prego di andarci alla prima occasione, anche a costo di farla nascere, o
d'inventare un pretesto. Vi assicuro io che mi ringrazierete del consiglio.
La Val di Chiana è una tra le più amene e le più pittoresche "del bel
paese là dove il sì suona". Anzi, un dilettante di bisticci potrebbe
sostenere che il sì è nato proprio in Arezzo, poichè fu aretino quel
monaco Guido, a cui siamo debitori della scala armonica. Ma, a farlo
apposta, Guido d'Arezzo non inventò che sei note, dimenticando per
l'appunto di inventare la settima. Forse, ribatterà il dilettante di cui
sopra, Guido non ha inventato il si, perchè questo era già nella lingua
madre, o il brav'uomo non voleva farsi bello del sol di luglio.
Comunque sia, andate in Val di Chiana e smontate ad Arezzo. La città
non è vasta, ma che importa? Il Guadagnoli, che era d'Arezzo, pensava
forse alla sua terra, quando diceva ad una graziosa dama:
Signora, se l'essere Piccina d'aspetto Vi sembra difetto, Difetto non è.
A buon conto, la città è piccola, ma ci ha le vie larghe, pulite e ben
selciate, il che non si trova mica da per tutto; possiede molte ed insigni
opere d'arte, un prefetto, un vescovo, due buoni alberghi e un caffè dei
Costanti, che vi dà subito l'idea di una popolazione d'innamorati. La
qual cosa non mi farebbe punto specie, poichè le aretine son belle di
molto, tanto da far dimenticare perfino i grandi uomini che son nati in
Arezzo, da Mecenate, amico d'Augusto, a Francesco Redi, amico del
vino.
Frattanto, lettori gentili, venite in Arezzo con me. Non ci si va col
vapore, ma a cavallo, perchè siamo cinque secoli addietro; si passa una
delle quattro porte della città, che è cerchiata di mura per un giro di tre
miglia, e si scende alla bottega di mastro Jacopo da Casentino.
Dico bottega, per andare coi tempi; ma oggi si dovrebbe dire studio,
perchè mastro Jacopo da Casentino era un pittore, e meritamente
annoverato tra i migliori del suo tempo. Era nato a Prato vecchio, nella
famiglia di messer Cristoforo Landino, e il nome patronimico lo aveva
avuto da un frate di Casentino, guardiano al Sasso della Vernia, che
l'aveva preso a ben volere, e, vedendo la sua inclinazione all'arte del
dipingere, lo aveva acconciato con Taddeo Gaddi, nel tempo che questo
valoroso scolaro di Giotto era a lavorare nel suo convento.
Sotto la scuola di mastro Taddeo, il giovinetto Jacopo aveva profittato
grandemente, sì nel disegno, sì nell'arte del colorire. Erano quelli i bei
tempi della pittura. Giotto, con nuova maniera, sciogliendo la figura
umana dalle rigidezze dell'arte bisantina, aveva additata una strada su
cui tutti i giovani si gittavano animosi, sperando di avanzare in
eccellenza il maestro. E Jacopo, andato a Firenze con Taddeo Gaddi,
non fece torto alle speranze che questi aveva concepite di lui,
dipingendo tra l'altre cose il tabernacolo della Madonna di Mercato
Vecchio e le vòlte d'Orsanmichele, che aveva ad essere il granaio del
Comune.
Rimasto alcuni anni col Gaddi, come a provar le sue forze, e persuaso
oramai di poter volare da sè, Jacopo era tornato nel suo Casentino, e in
Pratovecchio, in Poppi e in altri luoghi della valle medesima, aveva
dato mano a molte opere di cui s'era vantaggiata la sua fama, non così
la sua borsa. Dopo di che, adescato da più ragguardevoli offerte, si era
ridotto a stabile dimora in Arezzo, che allora si governava da sè
medesima, col consiglio di
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