Arrivo alla infinita dolcezza di disegnare in qualche modo e rivedermi anche sotto gli occhi vivo quel tempo, che nella mente mia è fatto eterno. Melius quam cum aliis versari est tui meminisse. Buona amica, le cose ch'io verrò parlando, un poco ogni giorno, con Lei, diventeranno Sue; se dovrà farle sapere al mondo, al mondo senza cuore, provveda Lei a che l'amico suo non sia giudicato senilmente verboso e importuno. Non Le dico questo per amor proprio; mi perdoni, è un folle dubbio fantastico il mio. Forse il bene ed il male che si pensa e si dice di noi sulla terra dopo la nostra morte, ci tocca tuttavia, in quanto è frutto delle nostre opere, con premio o con pena; mi par quasi che quei duri giudizi umani possano giungere al luogo eterno, e, più che me, contristar la diletta.
Scrivo queste ultime parole d'introduzione alle sei del mattino. L'aria è pura, un mite lume di luna cede quietamente all'alba serena; a piè della casa un bianco mare di vapori pesanti dorme sulla valle. Vorrei che fosse così, amica mia, anche là dove saremo dopo la morte e prima dell'ultima aurora, del giorno eterno; vorrei che dalla terra, tutta avvolta ancora d'ignoranza e di tristizia umana, nessun vapore maligno salisse a noi.
III.
Nel giugno del 1872 la signora andò col marito a passare l'estate sul lago di Ginevra. Intendevano ritornare in Italia per il Sempione e trattenersi poi alquanto sul Lago Maggiore, a Stresa o a Pallanza. Ella mi doveva scrivere da Ginevra se una mia visita segreta colà fosse possibile. In caso diverso avrei tentato vederla sul Lago Maggiore. Le promisi di lavorare, nel frattempo, alacremente.
Ella era infatti alquanto sorpresa e mortificata dell'assoluta inerzia intellettuale di cui l'amore mi aveva colpito, e ch'io, nel mio segreto, mi spiegavo perfettamente. Durante un anno e mezzo non avevo scritto che quattro o cinque liriche amorose, eleganti secondo il poter mio, perchè tale era il suo gusto, ma freddine. Ora ella si era innamorata degli Idyls of the King di Tennyson e avrebbe voluto ch'io scrivessi un poemetto di quel genere, il più raffinato, il più aristocratico possibile. Le promisi di fare qualche cosa, e sentendomi bisogno io pure di aria montana e di quiete, pensai di salire a Lanzo d'Intelvi dove conoscevo l'H?tel Belvedere, comodo, elegante, ammirabilmente posto in una pittoresca solitudine, frequentato quasi esclusivamente dagl'Inglesi. Vi avrei potuto lavorare in pace.
Vi andai il 28 giugno, per Argegno. Trovai la valle così fresca e verde, l'aria così pura! Mi pareva di respirare libertà, innocenza e vita. Il mio vetturino si fermò alcuni minuti nel paesello di Pellio, poche casuccie fra i castagneti, con le finestre fiorite di garofani. Discesi alla fontana. Una giovinetta bellissima, dalle mani abbronzate e dalle braccia di latte, stava attingendo acqua e me ne offerse. Le chiesi se l'acqua era buona. Rispose nel suo dialetto:
--La guariss de tucc i maa (guarisce tutti i mali).
La guardai con ammirazione. ?Proprio tutti?? replicai. Ella non rispose più, arrossì e sorrise come se mi avesse letto nel pensiero. Bevvi alla secchia della bella giovinetta, e partendo da Pellio pensavo che forse la sua piccola bocca, il suo piccolo cuore, le sue braccia di latte avrebbero potuto veramente guarire ogni male. Era forse lei l'idillio che cercavo, con un poco di dramma e di mistero? Quelle braccia così bianche non eran d'alpigiana ma di dea; leuk?lenos Hêrê.
Osservavo, salendo adagio fra le montagne, che la natura, mia vecchia amica, dopo due anni di silenzio, incominciava a parlarmi ancora. Bisogna essere un visionario inutile per sapere che gioia è questa di sentirsi in istato di grazia presso i sassi, le acque o le piante. Mi parve un segno che avrei finalmente potuto scrivere. Quando la montagna mi parla, il primo effetto n'è una dolcezza malinconica, un molle desiderio di sciogliermi nella vita delle cose; ma poi viene il fervore del concepire e la facilità dello scrivere. è lo stesso effetto che mi fa qualche volta Mendelssohn.
All'albergo non trovai lettere di Ginevra e n'ebbi piacere. Io che quando ho amato non ho mai amato più forte che nell'assenza, adesso, lontano dalla signora, non la sentivo più. Non v'era molta gente. Alla table d'h?te delle sei eravamo una trentina, quasi tutti inglesi. Io sedevo presso una bella ed elegante signora bionda, dagli occhi orientali come il profumo di rose audacemente singolare che usava. Le altre signore erano quasi tutte vecchie e bruttissime. Gl'italiani, non più di quattro o cinque, avevano, fra tanto grave silenzio di esotici, un'aria assai compunta, e mi guardavano con la evidente ingordigia di arruolarmi per le passeggiate, le chiacchiere e il biliardo. Ciò mi metteva orrore, per cui fui gelido con un piccolo vecchio signore, il quale, dopo pranzo, fatto un preambolo sui miei celebri poemi (!), mi disse che lui o
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