persone da sfruttare, e che ora gli faceva indovinare
nel Caruso l'uomo opportuno, l'uomo che avrebbe potuto cavarlo
d'impaccio.
Si discuteva a Roma da molto tempo il nuovo piano regolatore della
città, e durante queste discussioni la capitale si trasformava a vista
d'occhio, ponendo, come tanti ostacoli al nuovo piano, i lavori che già
erano compiuti.
La questione di trasportare altrove la stazione ferroviaria era all'ordine
del giorno. Nelle adunanze della Società degli architetti si era messa
avanti l'idea di trasportarla ai Prati di Castello, fuori della porta San
Giovanni, lasciando quella vecchia riserbata soltanto per la piccola
velocità.
Già si erano fatti studî e disegni, si erano pubblicati opuscoli per
sostenere l'una o l'altra idea, ma il pensiero di fare la stazione nel
Trastevere non era balenato a nessuno, e quel pensiero, di cui il
principe riconosceva l'opportunità, per assicurare la sua elezione, ora lo
tormentava non sapendo egli come esprimerlo, e, mentre con la punta
del coltello egli cercava di scalcare una quaglia, pensava, pensava che
avrebbe dovuto fra poco parlare, e quel pensiero gli faceva aggrottare le
ciglia.
La banda sul palcoscenico continuava a suonare, tutti parlavano a un
tempo, quando il sor Domenico si alzò e fece cenno ai sonatori e ai
convitati di tacere. La sora Lalla andò sulla terrazza a dare un ordine
eguale, e a un tratto per tutta l'osteria, un momento prima così piena di
rumore, regnò un silenzio solenne; nessuno osava neppur portarsi la
forchetta alla bocca per non far rumore. Il sor Domenico si alzò e con
quella voce dolce e vellutata, che scendeva al cuore, e nella quale era
riposto in parte il segreto della sua popolarità, disse, imitando Garibaldi
che era il suo idolo:
"Ragazzi! Voi sapete se io sono sempre con voi. Da anni e anni non mi
considero più un uomo isolato; mi pare di essere il vostro padre, il capo
di tutte le famiglie del Trastevere, perchè quando qualcuno soffre io
soffro insieme con lui, come quando qualcuno gode io mi associo alla
sua gioia. Sapete pure che il mio amore non è limitato a questo
generoso rione dove si mantenne sempre viva l'ammirazione per le
virtù passate di questa Roma, il cui nome solamente è simbolo di
grandezza o di gloria, ma si estende invece a tutta la città e all'Italia,
che ha dovuto cinger qui la sua corona regale! Voi sapete pure che io
non ho mai parlato a voi altro che il linguaggio della verità, che non vi
ho mai dato un consiglio che non fosse onesto e ispirato da quell'amore
di patria che ci anima tutti. Ora che siamo alla vigilia delle elezioni, io
prendo la parola e dico, con quella sincerità che tutti conoscete, di porre
il nome del principe della Marsiliana accanto a quello degli uomini
liberali cui deste il suffragio nelle passate legislature. Questo nome non
è portato da nessuna combriccola, non rappresenta interessi parziali, e
sopratutto non è legato a nessun passato. Per noi ci vuole un uomo
nuovo, che capisca i nuovi tempi, un uomo al disopra di qualsiasi
sospetto; e tale è il principe della Marsiliana; io, ragazzi, lo raccomando
al vostro suffragio, io credo che nessuno possa meglio rappresentare
questo collegio di Roma che lui!"
Grida diverse partirono dalla folla, che ingombrava prima la terrazza e
che ora si era spinta fino nella sala e occupava tutto lo spazio dinanzi
all'affresco di Muzio Scevola; alcune di approvazione e altre di
disapprovazione. Scortichino, il Simonetti e il sor Domenico sopratutto
accennarono a quegli strilloni di far silenzio e il capobanda fece
intonare l'inno di Garibaldi per porre fine al tumulto, che minacciava
farsi serio. Appena ristabilita la calma, don Pio posò il tovagliolo ed
alzatosi, senza guardar nessuno in faccia e a voce bassa, incominciò a
parlare, dicendo:
"Porto un gran nome, è vero, ma le mie simpatie sono per il popolo,
poichè io stimo e rispetto chi lavora, e ho viva ammirazione per quelli
che sostengono, giorno per giorno, ora per ora, la lotta per l'esistenza.
Se voi, che siete qui adunati, volete concentrare sul mio nome i vostri
voti, assicuratevi che avrò a cuore i vostri interessi più dei miei. Nulla
mi lega al passato: nè simpatia, nè vincoli di famiglia; tutto invece mi
spinge verso l'avvenire, che è rappresentato, specialmente qui a Roma,
dalla forte, onesta e patriottica popolazione del Trastevere.
L'avvantaggiare gl'interessi materiali e morali di questo rione, sarà per
me una nobile ambizione. Io credo che uno dei mezzi per concentrare
qui una parte della vita rigogliosa della Roma nuova, della Roma degli
italiani, sia quello di far costruire in questo luogo la nuova stazione
ferroviaria. Per l'attuazione di questo disegno io spenderò tutte le forze
mie e se vi riuscirò sarò più altero di aver legato a quest'opera il mio
nome,
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