suggerimento mio, e gli dica che se non viene la principessa è inutile che venga neppur lui.
Fabio Rosati stette un momento pensoso, con gli occhi fissi per terra, poi stendendo la mano al sor Domenico gli disse:
--Credo che abbiate ragione;--e senza salutare nessuno risalì in botte e si fece condurre al palazzo del principe della Marsiliana. Nel passare sotto la porta carrozzabile per entrare nel cortile, Fabio domandava al guardaportone alto, solenne e tutto tronfio di portare la livrea della antica casa principesca, se Sua Eccellenza era tornata.
Il guardaportone, senza aprir bocca, brandi la mazza con gesto da re di corona e accennò al Rosati il _phaéton_ attaccato che aspettava il principe, e quindi riposò in terra la mazza e riprese a guardare con occhio sprezzante la gente che passava a piedi.
Fabio salì di corsa le scale. Giunto nell'anticamera nella quale il trono, formato di arazzi portanti lo stemma della famiglia nel centro e le imprese del celebre cardinal Urbani, sulla parte laterale, occupava tutta una parete, si fermò e disse al servitore di guardia di annunziarlo, e senza aver la pazienza di attendere la risposta, si mise alle calcagna di lui per l'ampia galleria, nella quale tutto un passato di deità olimpiche e d'imperatori romani parevano schierati per far gli onori a chi passava.
Fabio non volse neppure uno sguardo su quei marmi preziosi; il suo occhio grande e dolce pareva che non provasse il bisogno di guardare nulla di ciò che lo circondava, che non ubbidisse a nessuna curiosità. Eppure era la prima volta che entrava in casa Urbani, o almeno in quella parte del palazzo riservata alla famiglia, poichè il principe aveva al pianterreno due stanze che guardavano sul Corso e nelle quali riceveva la mattina tutte le persone che non erano presentate alla principessa. Fabio Rosati, segretario di una quantità di comitati, nei quali figurava il nome del principe della Marsiliana, e anche del Circolo dei Cittadini di cui don Pio era presidente, aveva frequentissime occasioni di avvicinarlo. Svelto, intelligente, benchè privo affatto di cultura, rispettoso senza cortigianeria, e sopratutto buono e abile, Fabio era riuscito a conquistare l'animo di molti patrizii romani, e specialmente di don Pio, il quale ora aveva rimesso nelle mani di lui l'esito della sua elezione a deputato.
Il servo si fermò in fondo alla galleria, dinanzi a una porta grigia tutta coperta di dorature, e bussò leggermente. Il cameriere di fiducia del principe, un francese sbarbato, con gli occhiali che davano alla sua fisonomia l'aspetto di prete, comparve sull'uscio, e vedendo Fabio, che conosceva, lo pregò di entrare in un salottino precedente la camera del principe.
Don Pio, appena udita la voce di Fabio, gli andò incontro e gli strinse cordialmente la mano.
--Grazie di essermi venuto a prendere,--disse al Rosati.--Mi annoiava di giunger solo in mezzo a tutta quella gente.
--Non vengo per questo,--rispose Fabio guardando in terra e non sapendo come riferire al principe le parole del sor Domenico. Dacchè era entrato nel palazzo sentiva maggiormente tutta la stranezza della proposta che doveva fare, e non aveva il coraggio di esprimerla.
--Occorrono altre somme per le spese elettorali?--domandò il principe.--Me lo dica francamente; so quanto bevono gli elettori romani, e nulla mi stupisce.
--No, no; ho ancora qualche migliaio di lire,--disse il Rosati sorridendo.--Si tratta di una cosa molto più difficile a dirsi.
--Me la dica subito,--insistè il principe senza turbarsi;--sono preparato a tutto.
--Senta, il sor Domenico, l'oste di Muzio Scevola, dice che se stasera non viene la principessa insieme con lei, i voti del Trastevere le saranno per la massima parte negati.
Il principe sorrise mettendosi il monocolo all'occhio sinistro, e guardò fisso il Rosati dicendo:
--è una condizione curiosa e non so se donna Camilla l'accetterà; tenterò. Ma l'ora è passata già,--aggiunse il principe guardando una piccola pendola di smalto posata sopra la scrivania;--lei vada a far pazientare chi mi aspetta, io cercherò d'indurre la principessa a venir meco.--E accompagnando il Rosati nella galleria, don Pio penetrò nel salottino di sua moglie, e appena passata la soglia di quella stanza sparì dal volto di lui tutta l'espressione di dolce bonarietà, che aveva durante la conversazione col Rosati.
La principessa nel vedere il marito si alzò e fece cenno a due monache di Santa Rufina, che erano sedute in faccia a lei, di lasciarla.
--Che cosa vuoi?--domandò la piccola signora al marito con voce leggermente nasale, andando verso lui dopo aver accompagnato all'uscio le suore.
--Sai che io voglio in ogni modo esser deputato e che sarebbe un'onta per me se col mio nome, col mio passato, con le mie aderenze e i miei mezzi non riuscissi a essere eletto!
--Non le capisco certe vanità,--diss'ella alzando gli occhi al cielo.--Quando uno si chiama Urbani non ha bisogno di tenere a un titolo che il popolo può conferirgli, e può anche ritorgli.
--I tempi sono cambiati, bisogna camminare con essi se non si
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