Il Comento alla Divina Commedia, e gli altri scritti intorno a Dante, vol. 1 | Page 8

Giovanni Boccaccio
delle cittá e li furiosi impeti della Fortuna, niun altro
cercanti che l'alte cose, non si seppe o non si poté dalla tua dolcezza
guardare.
Fermossi adunque Dante a volere seguire gli onori caduchi e la vana
pompa dei publici ofici; e, veggendo che per se medesimo non potea
una terza parte tenere, la quale, giustissima, l'ingiustizia dell'altre due
abbattesse, tornandole ad unitá; con quella s'accostò, nella quale,
secondo il suo giudicio, era piú di ragione e di giustizia; operando
continuamente ciò che salutevole alla sua patria e a' cittadini conoscea.
Ma gli umani consigli le piú delle volte rimangon vinti dalle forze del
cielo. Gli odii e l'animositá prese, ancora che sanza giusta cagione nati
fossoro, di giorno in giorno divenivan maggiori, in tanto che non senza
grandissima confusione de' cittadini, piú volte si venne all'arme con
intendimento di por fine alla lor lite col fuoco e col ferro: sí accecati
dall'ira, che non vedevano sé con quella miseramente perire. Ma, poi
che ciascuna delle parti ebbe piú volte fatta pruova delle sue forze con
vicendevoli danni dell'una e dell'altra; venuto il tempo che gli occulti

consigli della minacciante fortuna si doveano scoprire, la fama,
parimente del vero e del falso rapportatrice, nunziando gli avversari
della parte presa da Dante, di maravigliosi e d'astuti consigli esser forte
e di grandissima moltitudine d'armati, sí gli prencipi de' collegati di
Dante spaventò, che ogni consilio, ogni avvedimento e ogni argomento
cacciò da loro, se non il cercare con fuga la loro salute; co' quali
insieme Dante, in un momento prostrato della sommitá del reggimento
della sua cittá, non solamente gittato in terra si vide, ma cacciato di
quella. Dopo questa cacciata non molti dí, essendo giá stato dal
popolazzo corso alle case de' cacciati, e furiosamente votate e rubate,
poi che i vittoriosi ebbero la cittá riformata secondo il loro giudicio,
furono tutti i prencipi de' loro avversari, e con loro, non come de'
minori ma quasi principale, Dante, sí come capitali nemici della
republica dannati a perpetuo esilio, e li loro stabili beni o in publico
furon ridotti, o alienati a' vincitori.

X
SI MALEDICE ALL'INGIUSTA CONDANNA D'ESILIO
Questo merito riportò Dante del tenero amore avuto alla sua patria!
questo merito riportò Dante dell'affanno avuto in voler tôrre via le
discordie cittadine! questo merito riportò Dante dell'avere con ogni
sollecitudine cercato il bene, la pace e la tranquillitá de' suoi cittadini!
Per che assai manifestamente appare quanto sieno vòti di veritá i favori
de' popoli, e quanta fidanza si possa in essi avere. Colui, nel quale poco
avanti pareva ogni publica speranza esser posta, ogni affezione
cittadina, ogni rifugio populare; subitamente, senza cagione legittima,
senza offesa, senza peccato, da quel romore, il quale per addrieto s'era
molte volte udito le sue laude portare infino alle stelle, è furiosamente
mandato in inrevocabile esilio. Questa fu la marmorea statua fattagli ad
eterna memoria della sua virtú! con queste lettere fu il suo nome tra
quegli de' padri della patria scritto in tavole d'oro! con cosí favorevole
romore gli furono rendute grazie de' suoi benefici! Chi sará dunque
colui che, a queste cose guardando, dica la nostra republica da questo
piè non andare sciancata?

Oh vana fidanza de' mortali, da quanti esempli altissimi se' tu
continuamente ripresa, ammonita e gastigata! Deh! se Cammillo,
Rutilio, Coriolano, e l'uno e l'altro Scipione, e gli altri antichi valenti
uomini per la lunghezza del tempo interposto ti sono della memoria
caduti, questo ricente caso ti faccia con piú temperate redine correr ne'
tuoi piaceri. Niuna cosa ci ha meno stabilita che la popolesca grazia;
niuna piú pazza speranza, niuno piú folle consiglio che quello che a
crederle conforta nessuno. Levinsi adunque gli animi al cielo, nella cui
perpetua legge, nelli cui eterni splendori, nella cui vera bellezza si potrá
senza alcuna oscuritá conoscere la stabilitá di Colui che lui e le altre
cose con ragione muove; accioché, sí come in termine fisso, lasciando
le transitorie cose, in lui si fermi ogni nostra speranza, se trovare non ci
vogliamo ingannati.

XI
LA VITA DEL POETA ESULE SINO ALLA VENUTA IN ITALIA
DI ARRIGO SETTIMO
Uscito adunque in cotal maniera Dante di quella cittá, della quale egli
non solamente era cittadino, ma n'erano li suoi maggiori stati
reedificatori, e lasciatavi la sua donna, insieme con l'altra famiglia,
male per picciola etá alla fuga disposta; di lei sicuro, percioché di
consanguinitá la sapeva ad alcuno de' prencipi della parte avversa
congiunta, di se medesimo or qua or lá incerto, andava vagando per
Toscana. Era alcuna particella delle sue possessioni dalla donna col
titolo della sua dote dalla cittadina rabbia stata con fatica difesa, de'
frutti della quale essa sé e i piccioli figliuoli di lui assai sottilmente
reggeva; per la qual cosa povero, con industria disusata gli convenia il
sostentamento
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