Divina Commedia: Purgatorio | Page 4

Dante Alighieri
piega.
Lasciane andar per li tuoi sette regni;?grazie riporterò di te a lei,?se d’esser mentovato là giù degni?.
?Marz?a piacque tanto a li occhi miei?mentre ch’i’ fu’ di là?, diss’ elli allora,??che quante grazie volse da me, fei.
Or che di là dal mal fiume dimora,?più muover non mi può, per quella legge?che fatta fu quando me n’usci’ fora.
Ma se donna del ciel ti move e regge,?come tu di’, non c’è mestier lusinghe:?bastisi ben che per lei mi richegge.
Va dunque, e fa che tu costui ricinghe?d’un giunco schietto e che li lavi ’l viso,?sì ch’ogne sucidume quindi stinghe;
ché non si converria, l’occhio sorpriso?d’alcuna nebbia, andar dinanzi al primo?ministro, ch’è di quei di paradiso.
Questa isoletta intorno ad imo ad imo,?là giù colà dove la batte l’onda,?porta di giunchi sovra ’l molle limo:
null’ altra pianta che facesse fronda?o indurasse, vi puote aver vita,?però ch’a le percosse non seconda.
Poscia non sia di qua vostra reddita;?lo sol vi mosterrà, che surge omai,?prendere il monte a più lieve salita?.
Così sparì; e io sù mi levai?sanza parlare, e tutto mi ritrassi?al duca mio, e li occhi a lui drizzai.
El cominciò: ?Figliuol, segui i miei passi:?volgianci in dietro, ché di qua dichina?questa pianura a’ suoi termini bassi?.
L’alba vinceva l’ora mattutina?che fuggia innanzi, sì che di lontano?conobbi il tremolar de la marina.
Noi andavam per lo solingo piano?com’ om che torna a la perduta strada,?che ’nfino ad essa li pare ire in vano.
Quando noi fummo là ’ve la rugiada?pugna col sole, per essere in parte?dove, ad orezza, poco si dirada,
ambo le mani in su l’erbetta sparte?soavemente ’l mio maestro pose:?ond’ io, che fui accorto di sua arte,
porsi ver’ lui le guance lagrimose;?ivi mi fece tutto discoverto?quel color che l’inferno mi nascose.
Venimmo poi in sul lito diserto,?che mai non vide navicar sue acque?omo, che di tornar sia poscia esperto.
Quivi mi cinse sì com’ altrui piacque:?oh maraviglia! ché qual elli scelse?l’umile pianta, cotal si rinacque
subitamente là onde l’avelse.
Purgatorio · Canto II
Già era ’l sole a l’orizzonte giunto?lo cui merid?an cerchio coverchia?Ierusalèm col suo più alto punto;
e la notte, che opposita a lui cerchia,?uscia di Gange fuor con le Bilance,?che le caggion di man quando soverchia;
sì che le bianche e le vermiglie guance,?là dov’ i’ era, de la bella Aurora?per troppa etate divenivan rance.
Noi eravam lunghesso mare ancora,?come gente che pensa a suo cammino,?che va col cuore e col corpo dimora.
Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino,?per li grossi vapor Marte rosseggia?giù nel ponente sovra ’l suol marino,
cotal m’apparve, s’io ancor lo veggia,?un lume per lo mar venir sì ratto,?che ’l muover suo nessun volar pareggia.
Dal qual com’ io un poco ebbi ritratto?l’occhio per domandar lo duca mio,?rividil più lucente e maggior fatto.
Poi d’ogne lato ad esso m’appario?un non sapeva che bianco, e di sotto?a poco a poco un altro a lui uscìo.
Lo mio maestro ancor non facea motto,?mentre che i primi bianchi apparver ali;?allor che ben conobbe il galeotto,
gridò: ?Fa, fa che le ginocchia cali.?Ecco l’angel di Dio: piega le mani;?omai vedrai di sì fatti officiali.
Vedi che sdegna li argomenti umani,?sì che remo non vuol, né altro velo?che l’ali sue, tra liti sì lontani.
Vedi come l’ha dritte verso ’l cielo,?trattando l’aere con l’etterne penne,?che non si mutan come mortal pelo?.
Poi, come più e più verso noi venne?l’uccel divino, più chiaro appariva:?per che l’occhio da presso nol sostenne,
ma chinail giuso; e quei sen venne a riva?con un vasello snelletto e leggero,?tanto che l’acqua nulla ne ’nghiottiva.
Da poppa stava il celestial nocchiero,?tal che faria beato pur descripto;?e più di cento spirti entro sediero.
‘In exitu Isr?el de Aegypto’?cantavan tutti insieme ad una voce?con quanto di quel salmo è poscia scripto.
Poi fece il segno lor di santa croce;?ond’ ei si gittar tutti in su la piaggia:?ed el sen gì, come venne, veloce.
La turba che rimase lì, selvaggia?parea del loco, rimirando intorno?come colui che nove cose assaggia.
Da tutte parti saettava il giorno?lo sol, ch’avea con le saette conte?di mezzo ’l ciel cacciato Capricorno,
quando la nova gente alzò la fronte?ver’ noi, dicendo a noi: ?Se voi sapete,?mostratene la via di gire al monte?.
E Virgilio rispuose: ?Voi credete?forse che siamo esperti d’esto loco;?ma noi siam peregrin come voi siete.
Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,?per altra via, che fu sì aspra e forte,?che lo salire omai ne parrà gioco?.
L’anime, che si fuor di me accorte,?per lo spirare, ch’i’ era ancor vivo,?maravigliando diventaro smorte.
E come a messagger che porta ulivo?tragge la gente per udir novelle,?e di calcar nessun si mostra schivo,
così al viso mio s’affisar quelle?anime fortunate tutte quante,?quasi obl?ando d’ire a farsi belle.
Io vidi una di lor trarresi avante?per abbracciarmi con sì grande affetto,?che mosse me a far lo somigliante.
Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto!?tre volte dietro a lei le mani avvinsi,?e tante mi tornai con esse al petto.
Di maraviglia, credo, mi dipinsi;?per che l’ombra sorrise e si ritrasse,?e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.
Soavemente disse ch’io posasse;?allor conobbi chi era,
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