Divina Commedia: Inferno | Page 8

Dante Alighieri
mena, ed ei verranno?.
S�� tosto come il vento a noi li piega,?mossi la voce: ?O anime affannate,?venite a noi parlar, s��altri nol niega!?.
Quali colombe dal disio chiamate?con l��ali alzate e ferme al dolce nido?vegnon per l��aere, dal voler portate;
cotali uscir de la schiera ov�� �� Dido,?a noi venendo per l��aere maligno,?s�� forte fu l��affett��oso grido.
?O animal graz?oso e benigno?che visitando vai per l��aere perso?noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
se fosse amico il re de l��universo,?noi pregheremmo lui de la tua pace,?poi c��hai piet�� del nostro mal perverso.
Di quel che udire e che parlar vi piace,?noi udiremo e parleremo a voi,?mentre che ��l vento, come fa, ci tace.
Siede la terra dove nata fui?su la marina dove ��l Po discende?per aver pace co�� seguaci sui.
Amor, ch��al cor gentil ratto s��apprende,?prese costui de la bella persona?che mi fu tolta; e ��l modo ancor m��offende.
Amor, ch��a nullo amato amar perdona,?mi prese del costui piacer s�� forte,?che, come vedi, ancor non m��abbandona.
Amor condusse noi ad una morte.?Caina attende chi a vita ci spense?.?Queste parole da lor ci fuor porte.
Quand�� io intesi quell�� anime offense,?china�� il viso, e tanto il tenni basso,?fin che ��l poeta mi disse: ?Che pense??.
Quando rispuosi, cominciai: ?Oh lasso,?quanti dolci pensier, quanto disio?men�� costoro al doloroso passo!?.
Poi mi rivolsi a loro e parla�� io,?e cominciai: ?Francesca, i tuoi mart��ri?a lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo d��i dolci sospiri,?a che e come concedette amore?che conosceste i dubbiosi disiri??.
E quella a me: ?Nessun maggior dolore?che ricordarsi del tempo felice?ne la miseria; e ci�� sa ��l tuo dottore.
Ma s��a conoscer la prima radice?del nostro amor tu hai cotanto affetto,?dir�� come colui che piange e dice.
Noi leggiavamo un giorno per diletto?di Lancialotto come amor lo strinse;?soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per pi�� f?ate li occhi ci sospinse?quella lettura, e scolorocci il viso;?ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il dis?ato riso?esser basciato da cotanto amante,?questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basci�� tutto tremante.?Galeotto fu ��l libro e chi lo scrisse:?quel giorno pi�� non vi leggemmo avante?.
Mentre che l��uno spirto questo disse,?l��altro piang?a; s�� che di pietade?io venni men cos�� com�� io morisse.
E caddi come corpo morto cade.
Inferno �� Canto VI
Al tornar de la mente, che si chiuse?dinanzi a la piet�� d��i due cognati,?che di trestizia tutto mi confuse,
novi tormenti e novi tormentati?mi veggio intorno, come ch��io mi mova?e ch��io mi volga, e come che io guati.
Io sono al terzo cerchio, de la piova?etterna, maladetta, fredda e greve;?regola e qualit�� mai non l���� nova.
Grandine grossa, acqua tinta e neve?per l��aere tenebroso si riversa;?pute la terra che questo riceve.
Cerbero, fiera crudele e diversa,?con tre gole caninamente latra?sovra la gente che quivi �� sommersa.
Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,?e ��l ventre largo, e unghiate le mani;?graffia li spirti ed iscoia ed isquatra.
Urlar li fa la pioggia come cani;?de l��un de�� lati fanno a l��altro schermo;?volgonsi spesso i miseri profani.
Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,?le bocche aperse e mostrocci le sanne;?non avea membro che tenesse fermo.
E ��l duca mio distese le sue spanne,?prese la terra, e con piene le pugna?la gitt�� dentro a le bramose canne.
Qual �� quel cane ch��abbaiando agogna,?e si racqueta poi che ��l pasto morde,?ch�� solo a divorarlo intende e pugna,
cotai si fecer quelle facce lorde?de lo demonio Cerbero, che ��ntrona?l��anime s��, ch��esser vorrebber sorde.
Noi passavam su per l��ombre che adona?la greve pioggia, e ponavam le piante?sovra lor vanit�� che par persona.
Elle giacean per terra tutte quante,?fuor d��una ch��a seder si lev��, ratto?ch��ella ci vide passarsi davante.
?O tu che se�� per questo ��nferno tratto?,?mi disse, ?riconoscimi, se sai:?tu fosti, prima ch��io disfatto, fatto?.
E io a lui: ?L��angoscia che tu hai?forse ti tira fuor de la mia mente,?s�� che non par ch��i�� ti vedessi mai.
Ma dimmi chi tu se�� che ��n s�� dolente?loco se�� messo, e hai s�� fatta pena,?che, s��altra �� maggio, nulla �� s�� spiacente?.
Ed elli a me: ?La tua citt��, ch���� piena?d��invidia s�� che gi�� trabocca il sacco,?seco mi tenne in la vita serena.
Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:?per la dannosa colpa de la gola,?come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.
E io anima trista non son sola,?ch�� tutte queste a simil pena stanno?per simil colpa?. E pi�� non f�� parola.
Io li rispuosi: ?Ciacco, il tuo affanno?mi pesa s��, ch��a lagrimar mi ��nvita;?ma dimmi, se tu sai, a che verranno
li cittadin de la citt�� partita;?s��alcun v���� giusto; e dimmi la cagione?per che l��ha tanta discordia assalita?.
E quelli a me: ?Dopo lunga tencione?verranno al sangue, e la parte selvaggia?caccer�� l��altra con molta offensione.
Poi appresso convien che questa caggia?infra tre soli, e che l��altra sormonti?con la forza di tal che test�� piaggia.
Alte terr�� lungo tempo le fronti,?tenendo l��altra sotto gravi pesi,?come che di ci�� pianga o che n��aonti.
Giusti son due, e non vi sono intesi;?superbia, invidia e avarizia sono?le tre faville c��hanno i
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