Col fuoco non si scherza | Page 8

Emilio De Marchi
Barolo.
A parte questi giochi eran del resto tutti buoni figliuoli; buoni, s'intende, a far nulla; ma già qualcuno cominciava a capire che a questo mondo non si è venuti soltanto per far delle schiocchezze. Erminio Bersi stava per prender moglie; Ezio Bagliani carezzava l'idea di finire i suoi studi legali e di pigliarsi una buona volta la sua laurea a Genova o a Pisa. Don Andreino, trascinato nell'orbita di suo cugino deputato, il conte Andrea della Roncaglia, mescolava alle corse, alle regate, un po' di sport elettorale e qualche sua personale velleità politica,
--Sei proprio in collera del tutto con Liana?--chiese don Andreino, quando dopo infiniti patimenti ebbe finalmente infilato il remo in una forcella.--Mi ha detto che tu le fai un gran male,
--Ne ho gusto.
--Non vuoi proprio più saperne di lei?
--Non si è già consolata abbastanza col suo americano?
--L'americano è un ripiego.
--Sai quel che mi ha fatto a Nizza?
--Lo so: ma tu sei troppo feroce, Ezio.
--Vada a farsi benedire. Mi ha seccato abbastanza. E poi ho bisogno di far giudizio quest'inverno.
--Ho capito--soggiunse Lolò quasi piagnucolando--vuoi prender moglie anche te. Allora io faccio il deputato.
--Bada, tieni a destra. Vedo laggiù al Castelletto la finestra di mia cugina Flora ancora illuminata. Andiamo ad augurarle la buona notte.
--Due minuti dopo il canotto ballonzava sotto il terrazzo d'una modesta casa posta a picco sul lago sostenuta da tre archi di muro e coronata da una torricciuola merlata dipinta a striscie rosse e nere, che giustificava agli occhi della gente il nome di Castelletto. Per quanto umile e goffa nella sua struttura di pasticcio mal riuscito, tuttavia all'indulgente raggio della luna anche quel vecchio rudere di casa colorata, chiusa tra un cipresso da una parte o un gran ciuffo di oleandri dall'altra, aveva la sua modesta poesia.
--Ohe, Flora...--gridò Ezio, intonando il deh vieni alla finestra del Don Giovanni. La finestra illuminata si aprì e dalla porta a vetri uscì sulla terrazza la ragazza dai capelli rossi, in una vestaglia chiara, che il raggio candido della luna avvolse d'una luce patetica.
--Che fate in giro a quest'ora, vagabondi? gridò Flora.
--E tu che cosa fai al mesto lume della lucerna?
--Sto copiando quella tua dissertazione di laurea. Sai che il tuo gobbetto ha una scritturaccia da gallina?
--Ti presento don Andreino Lulli, una grande autorità sportistica e un futuro uomo politico.
--Per celia, signorina--corresse il contino agitando il cappello.
--I vostri schiamazzi dal Ravellino arrivano fin qua, Chi è che giuoca al bersaglio?
--Vogliono ammazzare la luna.
--è una vergogna, a quest'ora.
--La mamma sta bene?
--Dorme.
--Non logorarti troppo gli occhi per me, povera Flora. Domattina sei in casa?
--Sempre ci siamo.
--Mi pigliate a colazione? ma sans-gêne; due uova, due fette di salame e un caffè nero. Vedremo di leggere insieme qualche pagina di questo malaugurato scarabocchio.
--Va bene: alle nove?
--Alle nove. Addio, Flora...
--Addio--rispose Flora, alzando la voce per seguire il canotto che si allontanava come una freccia: e le parve che un piccolo eco nascosto in qualche crepa del monte opposto ripetesse di là del lago;--Addio....
* * * * *
Villa Serena nel seno più interno della riva spiccava solitaria nel giardino vasto e oscuro, che l'abbracciava tutta nelle sue ombre profonde. Era una casa aperta sul lago con terrazzo a lunga balaustra di pietra bigia, ornato di grossi vasi di sasso, colla facciata d'una gravità signorile senza pompa e senza leziosaggini, una casa ancora senza storia, che Camillo Bagliani, il padre di Ezio aveva acquistato poco prima della morte della sua prima moglie. Vi aveva poi condotta la seconda moglie, Vincenzina, vi aveva raccolto le sue memorie e vi era morto anche lui da poco tempo, dopo aver passato gli ultimi anni di vita in uno stato di lenta paralisi sul balcone della camera che prospetta il piano più vasto del lago.
Ezio vi era, si può dire, cresciuto negli anni più belli della sua giovinezza e dopo la morte del babbo considerava Villa Serena come il rifugio delle sue idee migliori. Per rispetto a donna Vincenzina, sua seconda madre, l'eco dello gazzarre del Ravellino non vi doveva nemmeno arrivare e dagli amici suoi, tranne questo contino Lulli, che aveva una specie di salvacondotto nel titolo e nell'onorabilità del nome, nessuno altro era mai stato introdotto tra le ombre oneste e tranquille di quell'angolo invidiato. Ezio sapeva e voleva che gli altri avessero a distinguere tra il compagnone allegro e il padrone di casa. I piaceri della vita non l'ubbriacavano mai fino al punto di fargli perdere il sentimento de' suoi doveri, e in questa specie di governo di se stesso era la sua forza e la sua superiorità su tutti gli altri che gli facevano la corte. Questo senso di orgoglio lo faceva parere molte volte duro e aristocratico ai democraticoni della gazzarra, pei quali lo stravizio non ha bisogno di guanti e nemmeno di brache: ma Ezio voleva essere aristocratico, e sapeva di esserlo, magnificamente, quando
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