commendatore era la più grande della casa, forse fin troppo sfogata e larga, con quattro finestre che davano sul lago e sul monte, arredata di vecchi mobili nei quali sì specchiava la luce. Le pareti erano dipinte a calce con strisce rosse intrecciate a rombi in ciascuno dei quali era scarabocchiato un fiorellino celeste, lavoro paziente del vecchio Bargella di Bellano, un imbianchino celebre di cinquant'anni fa, annegato, chi dice nell'acqua chi dice nel vino, un giorno di sant'Anna dopo una famosa baldoria.
Quantunque una vasta tavola rotonda occupasse il mezzo di quello spazioso ammattonato a spina di pesce, c'era ancor posto in giro per una processione. Molti quadri e vecchie stampe occupavano le pareti, tra gli altri il ritratto d'un altro Beniaminus Crestus, notaio camerale, morto a Como nel 1771, che sotto una zazzera imponente accusava anche lui un musetto di buon cane barbino.
Una grande incisione della scuola del Piazzetta rappresentava Amore nella fucina di Vulcano nell'atto che ritrae la mano scottata dalla vampa.
O che non sapeva il piccolo tormentatore dei cuori che il fuoco scotta? il Dio e i ciclopi ridono di lui mentre le lagrime scendono sul bel volto del più crudele dei numi.
--Un per volta ci si scotta tutti...--disse il Cresti, indicando a Massimo la vecchia stampa, a cui attribuiva qualche valore.
--Col fuoco non si scherza--commentò l'amico.
--Eh.... lo so--disse l'altro, tirando lungo il respiro.
Le due ragazze avevano preparato un magnifico letto coi lenzuoli che sentivano di lavanda, col famoso piumino stato messo insieme a pezzi e bocconi dalla povera signora Caterina durante l'ultima sua malattia coi frastagli del suo vestito da sposa. Ai piedi era un soppedaneo immenso, tutto verde come un prato, su cui spiccavano due pantofole d'un rosso fiammante.
Beniamino corse a spalancare la finestra e:
--Guarda--disse con un sentimento d'orgoglio, come se ci avesse qualche merito nella bella vista.--Ecco Lenno, Azzano, Mezzegra e là in quel verde, villa Serena.
--Dove, dove? chiese subito l'amico, facendo canocchiale col pugno.
--Laggiù alla riva, quel gran giardino colla balaustrata. Infandum, regina, jubes renovare dolorem. Ci andremo domani.
--Domani no; è troppo presto.
--Andremo quando ti sentirai in forze. Non la troverai molto mutata, perchè queste donne tranquille non invecchiano. Sono i nervi che fanno soffrire.
--Mio nipote sa che devo arrivare?
--Glie l'ho detto: e non desidera che di abbracciare il suo caro zio d'America.
--Credi ch'egli sia a parte di quel che è passato tra me e suo padre?
--Ho tutti i motivi per credere che non sappia nulla: a meno che non abbia trovato qualche lettera tra le carte del defunto.--E guarda un po' anche da questa parte--disse il padrone di casa, aprendo l'altra finestra verso levante. I più grossi paesi di Tremezzo e di Cadenabbia eran lì immediatamente sotto i piedi, coi loro alberghi, coi loro tetti accostati e sovrapposti, congiunti da una sottile collana di ville incastonate nei verdi giardini, tra cui, sopra un minuscolo promontorio, il Castelletto colla sua brutta torretta dipinta,
La colazione servita nel salotto che dava sulla parte più fiorita del giardino fu veramente degna di un diplomatico, e le ore passarono come un sogno nel riandare le centomila cose passate, quelle morte, quelle che non avevan potuto nascere e che avrebbero dovuto nascere meglio. Dopo aver fatta una visita alle pere e alle rose, all'ombra di due grandi cappelli di paglia, il signor commendatore accettò volentieri il consiglio di ritirarsi in camera a fare un sonnellino. C'era a questo scopo una poltrona grande come un bagno, aperta come la misericordia di Dio, nella quale Massimo si raccolse per prendere il volo verso riposati lidi, mentre le foglie delle piante battute dal vento mandavano un barbaglio di ombre attraverso alle gelosie sopra il soffitto e sulla rosicchiata cornice del vecchio notaio.
Le cicale cantavano a tutto cantare nella lenta e calda quiete di quella giornata di agosto.
II.
Due amici giovani.
Sonava la mezzanotte a S. Giovanni di Bellagio, quando Ezio Bagliani e il contino Andreino Lulli, detto anche Lolò, sfuggendo alla baraonda, scioglievano il canotto dagli anelli della darsena e si staccavano dal piccolo molo del Ravellino.
Dal Ravellino a Villa Serena, a lago tranquillo, è una traversata di una mezz'ora o poco più; ma per i due giovani, che uscivano caldi dalla baldoria e che avevano da mettere d'accordo l'acqua un po' grossa del lago col vino bevuto a tavola, fu impresa alquanto più complicata.
--Vuol dare a intendere che è Sciampagna di dodici lire.... brontolò Ezio Bagliani, continuando un discorso già avviato nel giardino.
--è del vin d'Asti malvestito in carta d'argento--soggiunse don Andreino, che andava cercando suoi remi in fondo al canotto.
Dalla voce rauca e sepolta si capiva che Asti o Sciampagna ne avevano bevuto un poco più della loro sete. C'era nel loro confuso risentimento anche un segreto rancore contro un così detto Cognac tre stelle, che don Erminio Bersi aveva travasato agli amici senza economia. Lolò mezzo istupidito, per quanto annaspasse
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